Questo intervento di Enrico Thovez, a suo tempo considerato piuttosto rilevante, visto che e’ riapparso con alcune varianti anche qualche anno dopo la sua prima pubblicazione su "La Stampa" il 29 luglio del 1908 , ma poi letteralmente scomparso dalla memoria degli studi italiani sul cinema, presenta alcuni spunti di altissimo interesse.
Il primo emerge dall’attacco stesso del testo: l’idea che il Novecento sia semplicemente "il secolo del cinema". La consapevolezza di essere di fronte ad un fenomeno che marca profondamente l’epoca non è rara nei primi studiosi. In particolare, non è rara l’idea che il cinema sappia incarnare perfettamente lo spirito del tempo. Due prelievi velocissimi. Il primo è da Léon Moussinac e dal suo Naissance du cinéma (Paris, Powlozky, 1925): "Dans le grand trouble moderne, un art naît, se développe, découvre une à une ses lois propres, marche lentement vers sa perfection, une art qui sera l’expression même, hardie, puissante, originale, de l’idéal des temps nouveaux". Il secondo, ancora più pregnante, è da Sebastiano Arturo Luciani e dal suo L’Antiteatro (Roma, La Voce, 1928): "Il telefono, l’automobile, l’aeroplano e la radio hanno modificato talmente i limiti di tempo e di spazio entro cui le civiltà si sono svolte durante i secoli che l’uomo oggi ha finito non tanto con l’acquistare una rapidità di sintesi ignota agli antichi, quanto una specie di ubiquità. Ora il cinematografo appare come il riflesso artistico di questa nuova condizione di vita materiale e spirituale…". Tuttavia quel che colpisce in Thovez non è solo il fatto che egli avanza questa sua idea ben prima degli autori citati, ma anche il modo in cui la motiva. L’anticipo è importante: siamo in una fase in cui il cinema ha un enorme successo, ma sta ancora cercando la sua strada; diciamo meglio, in cui ha appena cominciato il percorso che lo porta verso quella che Burch chiama la sua forma istituzionale. Dunque intuire un radicamento del fenomeno nei costumi, nelle abitudini, nei modi di vita del tempo non è cosa da poco. Ma, ripeto, sono le motivazioni che importano: ed esse operano su due versanti.
Da un lato c’è il riconoscimento che il cinema è caratterizzato da una straordinaria "vastità di azione, profondità di penetrazione, universalità di consenso" . Sono tratti, anche qui, che colpiscono un po’ tutti gli studiosi del tempo: li ritroviamo ad esempio nel testo in qualche modo programmatico di Louis Delluc pubblicato dapprima in "Le Film" con il titolo “Le cinquième art”, e poi ripreso un anno dopo, nel 1919, in Cinéma et Cie con il titolo di “L’art du cinéma” . Aggiungo che sono i tratti che nel corso degli anni ’10 consentiranno di identificare in Chaplin la figura chiave della nuova arte: in lui infatti si raggiunge la perfetta compenetrazione di due bisogni, quello di una dignità estetica e quello di un successo popolare. Le due esigenze sono egualmente importanti, e nessuna delle due va sacrificata. In particolare la seconda corrisponde non solo alla natura del cinema, §arte popolare# (sempre per usare una dizione di Delluc), ma anche ad una cultura che deve tener conto delle masse e del loro protagonismo (e qui sentiamo riecheggiare un tema che troverà pieno svolgimento nel famoso saggio benjaminiano sull’opera d’arte nell’epoca della riproducibilità tecnica).
E’ su questo spunto che si innesta il passaggio polemico di Thovez contro i filosofi (che riprende peraltro un analogo passaggio di Papini nel suo “Filosofia del cinematografo”, pubblicato sempre su "La Stampa" poco più di un anno prima, il 18 maggio 1907). Thovez dice: "I filosofi hanno finora disconosciuto l\'importanza del fenomeno: lo hanno sdegnato come la semplice diffusione di un divertimento volgare; non hanno visto che è più denso di filosofia sociale di un\'enciclica rerum novarum" . Il riferimento all’enciclica non è una battuta: va appunto nel senso di riconoscere il ruolo delle masse come costitutivo dei tempi. E dunque come tratto di cui il cinema deve andare fiero. Di qui la caratterizzazione di questa nuova arte: "arte democratica e socializzatrice, depurata d\'ogni aristocrazia feudale di pensiero, d\'ogni preziosità decadente di espressione, d\'ogni astrusità di simbolo, ... messa alla portata di tutte le intelligenze e di tutte le borse, contingente e trascendente, universale ed eterna" .
Ma perché questo successo del cinema? Cosa c’é, oltre alla sua “popolarità”? Qui emerge l’altro lato del ragionamento di Thovez, alla ricerca del nesso più sottile che lega il cinema alla sua epoca. L’attenzione viene focalizzata sui "surrogati": la modernità è caratterizzata dalla diffusione di sostituti che prendono il posto degli originali, senza farli rimpiangere, ma anzi provvedendo ad una maggiore facilità di vita. Thovez ha dei passaggi veramente irresistibili, e di una straordinaria attualità: la sua descrizione del celluloide, e del cinema come oggetto di celluloide, è un pezzo da antologia. Aggiungo che ovviamente il richiamo alla dimensione “economica” connessa all’uso di sostituti rimanda ancora una volta all’intervento di Papini, che aveva sottolineato il ruolo dell’economicità nella vita moderna. Ma potrebbe rimandare anche alle straordinarie analisi della modernità offerte da Simmel in anni immediatamente precedenti a questi: ad esempio nel fondamentale saggio La metropoli e la vita dello spirito, Simmel riconosce l’atteggiamento economico come decisivo per definire il modo in cui il cittadino si pone di fronte al bombardamento degli stimoli provenienti dall’ambiente urbano, sia che egli scelga di seguire solo i richiami più “convenienti” per lui (facendo così equivalere tutte le sollecitazioni sulla base del loro valore di scambio), sia che egli scelga la strada del blasè, e manifesti una diffusa indifferenza (se tutto si equivale in base al suo valore di scambio, nulla ha più veramente un valore intrinseco) . Thovez riecheggia questi discorsi, anche se su di un approccio originale: quello che egli comunque mi sembra intuisca, è la presenza di una economia del simbolico di cui il cinema, sostituto del teatro, sostituto delle arti che richiedono un ragionamento complesso, più ancora, sostituto della vita, è il perfetto emblema.  (Francesco Casetti)